pubblicato il 28 febbraio 2012

A cosa servone le IGP o le DOP se poi scarseggiano marketing e brand?

Quando si applicano i bollini-marchi si ha una immediata individuazione della provenienza e fedeltà alla marca.

   Le DOP e le IGP riescono davvero a garantire e a valorizzare il prodotto? Prendo spunto da un articolo di Giuseppe Cremonesi, perchè pesso anche io mi sono posto questo quesito, cercando di capire quali fossero vantaggi, limiti e vincoli affinché le laboriose ed onerose operazioni per l'ottenimento delle certificazioni europee avessero giustificazione e successo. Inoltre, come lo scopo di queste certificazioni avessero ben poco di tutelativo, come drammaticamente dimostrano ogni giorno le piraterie commesse ai danni dei campioni del made in Italy quali, ad esempio, i formaggi Parmigiano Reggiano e Mozzarella di bufala, Gorgonzola, ecc, nonché i prosciutti Parma e S. Daniele. Vero è che spesso sono altrettanto difficoltose, per una serie di questioni tecnico-pratiche, l'individuazione ed evidenziazione di un prodotto dotato di questi sigilli, più che per quelli venduti nel libero servizio che essendo confezionati, su buste e vaschette portano impresso il marchio UE, mentre occorre fare atto di fede sulla correttezza del banconista per quelli acquistati al banco assistito.

   Discorso a parte per l'ortofrutta che ha volume mediamente di 23milioni di tonnellate annue, per la quale ogni famiglia italiana ne acquista 250 kg all'anno comprandola per il 50% presso la distribuzione organizzata, negozi tradizionali, oltre ambulantato, farmer market, ingrosso, ecc, spendendo all'incirca 9,5 miliardi di euro. Ebbene, in questo caso oltre a DOP e IGP, che pur esistono, ci sarebbe un sistema affatto astruso affinché anche un normalissimo consumatore individui immediatamente se trattasi di merce italiana, chi la produce e da che parte d'Italia proviene: l'applicazione di un bollino-marchio.
   Pochi sanno che c'è la DOP per il Limone femminiello del Gargano, per la Ciliegia di Marostca, per il Fico bianco del Cilento piuttosto che per il Peperone di Senise, prodotti di certo eccezionali, ma il marchio - anche se non si vede - è quello della UE. Mentre per la mela (è un esempio) della Val di Non il riconoscimento è immediato "complice" appunto la marca espressa dal bollino applicato su ogni frutto.

   Oggettivamente dalle nostre parti l'operazione di brandizzazione degli ortofrutticoli è impresa ostica per singoli produttori, consorzi e OP. Infatti, si contano su una mano i marchi riconoscibili anche se a volte supportato da una campagna pubblicitaria. Pioniere di questa operazione fu Ciquita, col suo riconoscibilissimo bollino blu (banane poi ananas, succhi di frutta, ecc), che dalle nostre parti ha avuto emuli sparuti ad usare una azione di marketing (perché di questo si tratta) tutto sommato semplice ma efficace.
   Si dirà che il problema sta nell'estrema frammentazione del settore; tuttavia in altri Paesi del mondo, compresi quelli non precisamente vocati a queste colture, hanno capito che utilizzando questo minuscolo "media" si favorisce non solo l'evidenziazione ma la fidelizzazione al prodotto e alla marca. Per rendersi conto del vasto panorama di marchi esistenti nell'universo ortofrutticolo rimando al sito tedesco www.fruitsticker.de dove in ordine alfabetico e per tipologia di prodotto nonché nelle maggiori lingue in uso sono visibili i relativi coloratissimi contrassegni - leggi "bollini" - a conferma che, lo si voglia o meno, la marca è e da valore.