pubblicato il 14 aprile 2014

La salinità dei suoli

Dalle analisi di laboratorio il primo step per affrontarla.

   I suoli salini, costituiscono oggi circa il 10-12% delle aree coltivabili mondiali. In Europa i paesi con maggiori problemi sono l'Ungheria ed i paesi dell'area mediterranea (Spagna, Portogallo e Grecia). In Italia l'accumulo di sali nel suolo si osserva in diverse regioni, con una superficie interessata di circa 400.000 ettari.
L'origine di tale problematica è legata da un lato alla natura dei terreni e all'uso di acque ad alto contenuto salino e dall'altro all'utilizzo di fertilizzanti. Nei periodi caldi o in terreni asciutti, questi suoli sono facilmente riconoscibili in quanto presentano in superficie delle efflorescenze bianche.
   Tutti i suoli contengono sali la cui quantità dipende dalle condizioni climatiche, morfologiche idrologiche e pedologiche del territorio. Quando la quantità di sali solubili (solfati, cloruri e bicarbonati di sodio, calcio e magnesio) diviene elevata sino al punto che le colture ne risentono negativamente, il terreno viene classificato come salino. Gli elementi maggiormente solubili sono Sodio, Calcio e Magnesio (Na+, Ca2+, Mg2+) per i cationi, e per gli anioni cloro e zolfo (Cl-, SO42-) e in misura minore i nitrati (NO3-).
   La salinizzazione rallenta la crescita delle piante, in quanto limita la loro capacità di rifornirsi d'acqua, provoca squilibri nutrizionali e induce fenomeni di tossicità. Tale fenomeno è dovuto all'effetto osmotico esercitato dalla fase liquida del suolo, maggiormente concentrata rispetto alla soluzione presente all'interno della pianta. Questa circostanza costringe la pianta a sprecare energie per poter sopravvivere e la forza a modificare le sue caratteristiche morfologiche (sviluppo e ciclo vegetativo ridotto e minor produzione). Soltanto alcune colture presentano un'elevata tolleranza alla salinità e vengono annoverate nella classe delle piante "tolleranti", tra queste rientrano la barbabietola, l'orzo, l'asparago e lo spinacio. Più numerosa risulta la classe "moderatamente sensibile" con soia, riso, mais e diverse specie orticole e da foraggio. L'ultima classe "sensibile" comprende relativamente poche specie tra le quali si possono citare il fagiolo, la lattuga, l'arancio ed il pesco.
   La crescita peggiora anche per sbilanciamento nutrizionale a causa della competizione di Na e Cl con gli altri ioni, per cui si riducono l'assorbimento ed il trasporto alle foglie. In mais cresciuto in NaCl si osserva inibizione da Na sull'assorbimento di K, Ca e Mg. A ciò si accompagna la sostituzione, almeno parziale, di K con Na in funzioni non specifiche.
   Lo stress salino può condurre a deficienze di altri elementi per la competizione di Cl con nitrato, solfato, fosfato.
Inoltre, si rileva che la tolleranza e la sensibilità di una specie varia durante il ciclo biologico - la maggiore sensibilità viene generalmente riscontrata alla germinazione - con differenze a volte non trascurabili.
   Gli effetti negativi della salinizzazione sul suolo sono in prevalenza due: la deflocculazione e l'innalzamento del pH.
Alte concentrazioni di sodio portano ad un suo adsorbimento sulle superfici dei colloidi argillosi ed organici al posto di calcio e magnesio. Avendo il Na un'azione deflocculante sulla struttura del terreno favorisce a lungo termine il compattamento. In tal modo si generano problemi di asfissia radicale, causati dalla minor permeabilità e dal peggior drenaggio; di conseguenza la struttura del terreno che ne scaturisce, favorisce a sua volta l'accumulo di sali, conducendo ad un ulteriore aggravamento del problema.
   L'elevata concentrazione di sodio comporta un incremento del pH, cosicché i diversi macro e microelementi si insolubilizzano restando nella soluzione circolante in concentrazioni molto basse e poco disponibili per le piante.
Esistono numerose strategie di lotta allo stress salino, nella maggior parte dei casi si tratta, di tecniche di tipo agronomico, quali la pacciamatura, l'innesto ecc... Queste tecniche si possono distinguere tra quelle che agiscono direttamente sulla pianta e quelle che agiscono sul sistema microclimatico in serra "suolo-pianta-aria".
   Queste ultime si prestano particolarmente ad essere applicate nell'ambiente di serra: comunemente mirano a una riduzione della traspirazione, e quindi a limitare lo stato di siccità fisiologica determinato da condizioni di salinità.
In ambiente protetto, per ottenere una riduzione della traspirazione della coltura si può ricorrere all'ombreggiatura con teli di plastica, che tuttavia può presentare l'inconveniente di un abbattimento eccessivo della radiazione solare. Esistono vari studi sull'ombreggiatura fissa della serra e su quella interna mobile; di recente è stata sperimentata anche l'ombreggiatura mobile esterna, che ha dato su pomodoro risultati particolarmente interessanti, con un abbattimento dell'incidenza di marciume apicale delle bacche fino all'80%.
Una ulteriore tecnica di intervento è quella della riduzione di traspirazione tramite l'incremento dell'umidità dell'ambiente.
   L'umidificazione diminuisce il crollo di potenziale idrico fogliare dovuto all'elevata concentrazione della soluzione nutritiva, e non causa effetti rilevanti sull'apertura stomatica delle foglie. Questo tipo di strategia va ad interessare direttamente la fisiologia della pianta, influenzando i suoi scambi idrici, ma presenta l'inconveniente di essere relegata strettamente all'ambiente di serra, poiché è impossibile agire sull'umidità atmosferica in pieno campo.
Prospettive interessanti, infine, vengono dall'impiego dell'innesto, una tecnica tradizionalmente usata nelle coltivazioni arboree. Questa tecnica si sta recentemente affermando anche nel settore ortivo, prevalentemente allo scopo di indurre resistenza ai patogeni; tuttavia in alcuni casi è stato dimostrato come il portinnesto modificando l'assorbimento e il trasporto di soluti al nesto, possa alterare le caratteristiche di quest'ultimo in termini di crescita e sviluppo. Nei casi in cui una cultivar potenzialmente produttiva, ma dalle scarse capacità idriche venga innestata su un apparato radicale vigoroso ed efficiente, è possibile ottenere risultati soddisfacenti anche in condizioni di stress quali siccità o salinità.
   Il ricorso a tutte quelle tecniche agronomiche che concorrono a proteggere e a migliorare la struttura del terreno, quali, ad esempio, le lavorazioni profonde con la scarificatura, l'interramento dei residui colturali, l'apporto di letame o i sovesci, permette, inoltre, di migliorare e di aumentare la stabilità strutturale e di contrastare il degrado del suolo ad opera del sodio.
Particolare attenzione deve essere posta anche nel redigere il piano di concimazione. Eccedere nella dose di concime, infatti, non solo non comporta alcun vantaggio produttivo, ma, riducendo la componente osmotica del potenziale dell'acqua nel suolo, peggiora le relazioni idriche della pianta ed accentua gli effetti negativi dello stress salino. Ne consegue che risultano di fondamentale importanza le analisi del terreno e dell' acqua. Conoscere i propri terreni e le proprie acque è indispensabile per raggiungere i più alti livelli di resa, di qualità e di redditività.
   Le piante che oggi coltiviamo posseggono straordinarie potenzialità produttive e qualitative, però, dobbiamo imparare a soddisfare completamente i loro fabbisogni nutrizionali, senza sprechi di concime, sia per attuare pratiche ecocompatibili in linea con quanto prescritto dalla politica agricola sia per ridurre i costi di produzione. Le analisi del terreno e delle acque permettono di orientare meglio le lavorazioni, l'irrigazione, la scelta delle varietà colturali e dei portainnesti, individuare gli elementi nutritivi eventualmente carenti e quindi in grado di limitare le produzioni agricole; rilevare se vi sono elementi presenti in dosi elevate, tali da permettere di contenere le concimazioni, concorrere ad una corretta diagnosi di eventuali alterazioni o affezioni delle colture, attraverso l'individuazione di carenze, squilibri od eccessi di elementi.