pubblicato il 06 giugno 2018

L’agricoltura tra vecchia e nuova globalizzazione

Produzione alimentare, sostenibilità, cambiamenti climatici - Non solo l’Italia, ma la stessa Europa è piccola

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L’agricoltura mondiale è chiamata a sfamare una popolazione in crescita, ma la vera sfida non è quella di produrre di più, quanto di farlo in modo sostenibile. Di fronte alla crisi del modello di globalizzazione basato sulla liberalizzazione multilaterale e alle crescenti tentazioni neoprotezionistiche, il dilemma tra libero commercio e protezionismo andrebbe mediato in una prospettiva di un commercio più equo.

A livello globale quanto e forse più della disponibilità di cibo per tutti, preoccupano questioni quali la disponibilità e la distribuzione di acqua oltre che di terra, gli effetti del cambiamento climatico, la sostenibilità ambientale, le migrazioni tra e dentro i continenti, oltre che all’interno della stessa agricoltura.

Queste preoccupazioni si manifestano nel contesto di una nuova globalizzazione senza governo, sempre più incerta, ancora poco studiata e compresa, e di cui conosciamo solo ciò che si è lasciato alle spalle, ossia i cocci del modello di liberalizzazione multilaterale dell’OMC: la benevola egemonia statunitense, spazzata via dalla furia rottamatrice di Trump; l’idea forte di integrazione europea, oggi smarrita in un’Europa disorientata dalla Brexit, popolata di populismi antieuropeisti e alla ricerca di una nuova identità.

In questo quadro, non bisogna farsi tentare da scorciatoie protezionistiche per un improponibile ritorno al passato. Il protezionismo dei dazi e delle barriere doganali, salvo rare eccezioni, rende tutti più poveri, intralcia lo sviluppo delle catene globali del valore e a un paese esportatore come l’Italia non conviene per definizione: sia perché rende più difficile penetrare nei mercati emergenti, sia perché aumenta il costo delle importazioni dei prodotti necessari a produrre ciò che si esporta.

Piuttosto, bisognerebbe usare la crisi del vecchio modello liberista tout court per garantire una transizione verso un regime di commercio “corretto” più che “libero”: fair trade più che free trade, in cui sia possibile declinare un approccio di liberalismo pragmatico con opportune dosi di protezionismo culturale, per valorizzare e difendere le nostre tante eccellenze agroalimentari nel mondo e sul mercato interno (europeo).

Per avere un ruolo in questa fase di transizione verso una nuova globalizzazione dai contorni incerti, non solo l’Italia, ma la stessa Europa è piccola, per cui a maggior ragione deve stare unita e stringersi intorno ai suoi presidi costruiti nel tempo: tra questi c’è sicuramente la PAC, che oggi va più che mai difesa e valorizzata anche per la sua valenza geopolitica.

Tratto da: Agriregionieuropa