pubblicato il 06 luglio 2017

Accordo CETA: Libero scambio UE-Canada: Le ragioni del SI e del NO

Coldiretti è contraria al trattato. Cia e Confagricoltura lo appoggiano. Proviamo a fare chiarezza.

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Cosa significa CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement), un trattato di libero scambio tra Canada e Unione Europea.
Le associazioni di categoria sono divise: da un lato Coldiretti – sostenuto anche da Cgil, Arci, Adusbef, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food International, Federconsumatori, Acli Terra e Fair Watch – che è contraria, dall’altro Confagricoltura e Cia, che invece guardano di buon occhio l’accordo commerciale ed economico.

In questo articolo cerchiamo di spiegare le ragioni dell’uno e dell’altro.

Partiamo col dire che secondo la Commissione europea il CETA aumenterà del 23%  lo scambio di merci e servizi tra Ue e Canada e il Pil dell’Ue beneficerà di circa 12 miliardi di euro l’anno. Un accordo, quindi, che abbatterà il 99% circa delle tariffe nel commercio Ue-Canada permettendo un maggiore accesso al mercato delle imprese di ambedue i territori. Un bene quindi? Dipende!

Secondo Coldiretti, per la prima volta nella storia l’Unione Europea legittima in un trattato internazionale la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy più prestigiosi. Di fatto il trattato dà il via libera all’uso di libere traduzioni dei nomi dei prodotti tricolori (un esempio è il Parmesan) mentre per alcuni prodotti (Asiago, Fontina e Gorgonzola) è consentito in Canada l’uso degli stessi termini accompagnato con “genere”, “tipo”, “stile”, e da una indicazione visibile e leggibile dell’origine del prodotto.
Ma se sono stati immessi sul mercato prima del 18/10/2013 possono essere addirittura commercializzati senza alcuna indicazione.
In sostanza si potrà continuare a produrre e vendere "Prosciutti di Parma" canadesi in coesistenza con quello Dop ma anche “Daniele Prosciutto” locale.
È anche riconosciuta la possibilità di utilizzare parti di una denominazione di una varietà vegetale o di una razza animale (come ad esempio la chianina).
Il CETA, inoltre, secondo Albano Agabiti (presidente Coldiretti Umbria), spalanca anche le porte all’invasione di grano duro e a ingenti quantitativi di carne a dazio zero.

Diametralmente opposta è la visione di Cia Confederazione Italiana Agricoltori, che sottolinea come con il CETA 41 prodotti Dop e Igp Made in Italy saranno protetti dalle imitazioni e 32mila tonnellate di formaggi europei saranno esportati in Canada a dazio zero.
C’è però da dire che 41 rimane un numero piuttosto esiguo, considerando che il totale delle indicazioni geografiche  italiane è di ben 811 prodotti. E chi è rimasto fuori non avrà la possibilità di entrarvi in un secondo momento, in quanto verranno inseriti nell’elenco solo nuovi prodotti Igp.
Per CIA, invece, il solo fatto che nel capitolo del trattato relativo alla proprietà intellettuale, sia stato inserito il riconoscimento di una lista di indicazioni geografiche, seppure limitata, rappresenta un principio innovativo, rispetto all’approccio tradizionale del mercato internazionale, che potrà garantire standard di tutela delle produzioni di qualità maggiori rispetto allo status attuale.

Agrinsieme, in posizione nettamente contraria a quella di Coldiretti, auspica la ratifica del trattato in tempi brevi.
Una motivazione su tutte: con il CETA saranno rimosse importanti barriere commerciali che, ad oggi, penalizzano le esportazioni europee, anche quelle relative ai prodotti alcolici e ai vini. Saranno ridotte ed eliminate le tariffe sulle esportazioni di importanti prodotti agroalimentari europei a base di cereali come pasta e biscotti, ma anche i preparati di frutta e verdura. Un incentivo per le nostre imprese italiane, che diventeranno più competitive e avranno maggiore potenziale di investimento.
L’accordo, per Agrinsieme, conferma ed enfatizza il principio di liberalizzazione del commercio internazionale mediante l’eliminazione reciproca dei dazi doganali su quasi tutte le merci.
Anche Confagricoltura parla in una nota stampa di accordi commerciali da considerarsi positivi, sottolineando come le frontiere non devono essere intese come muri, ma come luoghi di scambio.